
Viaggio nelle terre del Myanmar: parte prima
Nota redazionale del 2021

Il nostro viaggio si è svolto nel febbraio del 2016. I fatti politici che hanno interessato il Myanmar negli anni successivi e in particolare il colpo di stato militare del febbraio 2021, con l’arresto dei principali leader politici del partito di maggioranza, tra cui Aung San Suu Kyi, hanno fatto cadere le speranze per una transizione del Paese verso la democrazia e il pluralismo etnico e religioso. In questo momento e fino a quando le difficoltà politiche odierne non saranno superate sembra difficile visitare il Paese con la tranquillità di cui abbiamo goduto noi. Resta il ricordo di un viaggio che nella nostra esperienza è stato bellissimo e per questo motivo abbiamo deciso di pubblicare questo articolo, scritto al ritorno in Italia, come testimonianza delle potenzialità di un Paese che al momento sono state spazzate via.
Perché un viaggio in Birmania nel 2016?
Perché il paese sta faticosamente uscendo da 50 anni di dittatura e, ci auguriamo, sta imboccando la strada per la democrazia. Perché la chiusura rispetto al mondo occidentale ne ha in parte preservato alcuni aspetti che inevitabilmente andranno a scomparire con il tempo.
È un viaggio che comincia molto prima della partenza. Infatti la Birmania è un paese lontano, non solo per la distanza, ma per la cultura, la religione, il modo di vivere, profondamente diversi da quelli occidentali.
Per l’organizzazione ci affidiamo a un operatore di viaggi solidali per dare al nostro una connotazione sociale e riuscire a entrare in contatto con i birmani. Questa aspettativa resterà alla fine la parte meno riuscita del viaggio. Sarà compensata dalla “compagnia” di sette persone (il nostro gruppo) con una forte motivazione e con differenti visioni, che si sono integrate naturalmente, arricchendo l’esperienza individuale di tutti.
Una Fotografia della Birmania
La Birmania è una nazione che si sta aprendo oggi al turismo e al confronto con il turista.


È un paese povero dove probabilmente la sussistenza è garantita (ma alcune zone del nord che non abbiamo visitato pare si trovino in situazioni difficili) grazie alla fertilità del suolo e alla pesca disponibile su fiumi, laghi, sul mare. L’embargo economico occidentale contro il governo dei militari, rimosso solo nel 2013, non ha fatto che peggiorare le cose, in alcuni casi contrastando anche l’intervento delle organizzazioni umanitarie. In termini assoluti è un paese molto ricco con importanti risorse minerarie. Ma i guadagni di queste attività sembra siano appannaggio di un ristretto numero di persone legate alla classe militare ancora al potere.
Una grande speranza è riposta nella Signora (Aung San Suu Kyi) il cui partito ha recentemente vinto le elezioni dando il via alla transizione verso la democrazia. Ma una grossa parte del potere resta in mano ai militari cui, in base alla costituzione, è riservato in ogni caso il 25% dei seggi in parlamento.
Le persone con cui abbiamo parlato concordano nel considerare educazione e salute i due settori prioritari di intervento. I tempi del cambiamento percepito e globalmente esteso alla popolazione non possono che essere lunghi. Qualcuno ha azzardato anche 15 anni, auspicando un interessamento dell’Europa, a cui si guarda con attenzione. E sperando che non vengano messe in atto manovre destabilizzanti per sovvertire i risultati elettorali e giustificare il ritorno dei poteri forti.

Culturalmente il ruolo della religione sembra fortissimo. Il paese è al 90% Buddista e ci è sembrato che la pratica religiosa sia veramente diffusa: i templi sono generalmente affollati, è normale porre fiori dinanzi all’immagine casalinga del Buddha, è ugualmente usuale arricchirne la statua nei templi con foglie d’oro, tanto che alcune di queste sculture sono ormai diventate irriconoscibili.
Accanto al culto religioso anche l’astrologia è pratica comune: si ricorre all’astrologo per scegliere il nome del nascituro, ma anche per prendere decisioni politico-amministrative.
Quella che purtroppo è completamente carente è la cura del territorio e la consapevolezza che preservarlo costituisce un’esigenza imprescindibile per il futuro del paese. La plastica è onnipresente. Nei piccoli centri al mattino si brucia, indistintamente, l’immondizia del giorno precedente. Del sistema fognario meglio non parlare. La fragilità ecologica è palpabile. La sensazione è che un paese bellissimo potrebbe in poco tempo deteriorarsi in modo irreversibile.
Girovagando tra villaggi e mercati
In Birmania la gente è disponibile, sorridente, ospitale, pronta a condividere e a comunicare pur nella difficoltà linguistica.
In generale le persone non hanno problemi a farsi fotografare, anzi quando lo si chiede ne sono contente. Questo atteggiamento consente al turista-fotografo, rispettoso, di essere meno invasivo e di instaurare un canale di comunicazione che rende più viva la foto.


Gli incontri che abbiamo fatto ci hanno riservato emozioni importanti, nate dall’aver cercato di entrare in contatto con le persone, aldilà della barriera linguistica, prendendoci, ove possibile, tempi lenti, per curiosare in giro, perché ogni deviazione può riservare una sorpresa.
In un villaggio voltiamo per una stradina secondaria polverosa e incontriamo prima una scuola, con la classe aperta sulla strada e le ragazze che ci fanno entrare, mostrandoci i loro lavori. Poi una signora anziana che ci accoglie nel cortile della sua casa, facendoci accomodare su sgabelli in legno accuratamente spolverati: pur nell’impossibilità di ogni comunicazione verbale, il senso di accoglienza che traspariva dal suo gesto è stato molto toccante.


E ancora, lungo la strada che conduce al Monte Popa sentiamo una musica e ci avviciniamo curiosi: è la festa per il noviziato di un ragazzo. I parenti ci invitano a entrare, ci fanno sedere tra di loro sulle stuoie e ci offrono del cibo. Per fortuna che possiamo contraccambiare con caramelle di zucchero di palma appena acquistate lungo la strada!


Luoghi d’elezione per comprendere un paese, come sempre, sono i mercati. I loro colori, gli odori e gli incontri che si possono fare rappresentano uno spaccato genuino della vita locale, tolta l’inevitabile zona dedicata ai souvenir turistici. Danno la dimensione della disponibilità dei prodotti e degli usi quotidiani: l’abitudine al cibo di strada, per esempio, o l’uso di seccare il pesce, che assume strane forme caratteristiche, per conservarlo; o ancora, la presenza di grandi quantità di fiori recisi per ornare le immagini casalinghe del Buddha.

A Bagan alcuni di noi hanno scelto di partecipare a una cooking class di cucina locale, presso una signora birmana, che con quest’attività finanzia una piccola biblioteca. L’esperienza, che gli ha permesso di entrare direttamente in una casa birmana, è stata molto coinvolgente.
Gli incontri che ci hanno colpito
Padre J. un sacerdote cattolico che gestisce un dispensario medico in una zona a nord di Mandalay. Ci racconta il suo rapporto continuo con gli abitanti della sua diocesi, cattolici, in piccolissima parte, e non.
Daw Aye, una dolce signora buddista, praticante, che gestisce un piccolo commercio ad Amarapura. Ci accompagna lungo un’intera giornata in una passeggiata sul ponte U-Bein fino alla Pagoda di Kyauk Taw che visita con noi, cercando di trasmetterci con semplicità i principi fondanti del buddismo. E alla fine del giorno, al momento di congedarci, ci regala dei dolci con grande generosità.
Un giovane monaco del monastero di Mahagandayon (sempre ad Amarapura) ci racconta dei suoi studi e del suo desiderio di visitare l’Occidente, per entrare in contatto con lo spirito del buddismo filtrato dalla cultura occidentale.
I ragazzi che partecipano al progetto di restauro di mobili in teak Helping Hands, a Yangon, orgogliosi del proprio lavoro.
E infine tutte le persone che ci hanno sorriso, che si sono volute fotografare con noi. E i bambini che fiduciosi si sono fatti prendere in braccio senza timore.

A breve la seconda parte!

