
Persia e Iran, ancora un unico paese
Seconda parte: il deserto e le sue città, i bazar, gli incontri con gli iraniani
LA VITA NEL DESERTO
Il paesaggio iraniano ha chiara l’impronta del deserto. Nelle tappe di trasferimento da una città all’altra solo di rado si incontrano zone alberate, prati. In generale è uno scenario brullo, sassoso, spazzato dal vento. Ma lungo la nostra strada ci siamo imbattuti in molte cittadine, villaggi che si sono sviluppati nonostante condizioni ambientali che a noi sembrano proibitive. Le costruzioni sono quelle tipiche del deserto in adobe (paglia e fango seccati), di colori più caldi, bruciati, come a Abyaneh, o più chiari, come a Nain, e ai nostri occhi sono veramente attraenti, oggetto di mille fotografie per riprendere ogni angolo, ogni sfumatura di luce.

Quello che cattura l’attenzione e la curiosità sono i sistemi che i persiani hanno escogitato nei secoli per convivere e prosperare nonostante il clima difficile. L’approvvigionamento idrico era assicurato da tecniche per captare l’acqua dal sottosuolo, raccoglierla nelle cisterne e trasportarla con un sistema di condutture sotterranee, i qanot, con manufatti che ancora oggi sono ben mantenuti, anche se non più in uso. La presenza costante di vento era sfruttata con le cosiddette Torri del vento che ancora svettano numerose a Yazd, a Kashan, a Kerman e che riuscivano a rinfrescare l’aria delle case o l’acqua delle cisterne. La neve, che in inverno cade abbondante, era conservata nelle “Case del ghiaccio”.


La capacità tecnica di sfruttare questi elementi ha consentito anche lo sviluppo di un’agricoltura importante e l’insediamento di bellissimi giardini, nonostante condizioni climatiche sfavorevoli. Uno per tutti quello di Mahan, vicino la cittadella di Rayen (Arg-e-Rayen), lungo la strada che dal deserto del Kalut porta a Kerman.

Yazd, Kashan, Kerman sono città che si sono sviluppate nel deserto e che oggi si affacciano alla modernità. Yazd e Kashan hanno un bellissimo centro storico ben preservato e moschee, palazzi, hammam da visitare. Notevole il bazar di Kerman e anche quello di Kashan.


Nel nostro viaggio itinerante, lungo il tragitto tra Isfahan e Yazd, abbiamo visitato la moschea di Nain, Meybod, con la fortezza che domina la città, Karanagh con un centro storico ormai abbandonato, ma in ristrutturazione, set di riprese fotografiche e, vicino a Kerman, la cittadella fortificata di Rayen, considerata una “piccola Bam”, troppo lontana, quest’ultima, per i tempi del nostro itinerario.

Due escursioni nel deserto. La prima nel deserto del Maranjab, vicino a Kashan, dove convivono il deserto di sale e quello tipico con le dune. L’escursione è stata funestata da una tempesta di sabbia che ci ha sorpresi durante un tragitto in 4X4 e ci ha bloccati per una buona mezz’ora accanto a un caravanserraglio. La seconda nel deserto del Kalut a sud, vicino Kerman, un deserto di sabbia e formazioni rocciose modellate dal vento, piuttosto affascinanti, anche se il sole del tramonto è stato nascosto da uno spesso strato di foschia.


I BAZAR
I bazar sono belli, colorati, affollati. In qualunque città. Costituiscono microcosmi socio-economici paralleli rispetto a quelli ufficiali, con proprie regole e istituzioni, abbiamo letto. All’occhio del viaggiatore si presentano come un labirinto di stradine coperte per consentire i commerci nelle lunghe e calde estati e nei rigidi inverni. E sono autentici. Sì, qualche negozio è più chiaramente indirizzato al turista, ma per il resto: spezie, tessuti, abiti sono chiaramente destinati agli iraniani. E nei bazar è possibile incontrare artigiani al lavoro e una sala da tè, dove gli iraniani bevono tè in continuazione, dolcissimo!


GLI IRANIANI
In occidente tendiamo ad accomunare i paesi islamici genericamente come arabi. Ma gli iraniani non sono arabi e fanno rilevare questa differenza con grande fermezza. L’esperienza che abbiamo avuto nel nostro viaggio ha confermato una distanza ben percepibile dell’Iran dal mondo arabo, che non è solo nella differente visione dell’Islam – gli iraniani sono sciti, mentre la maggior parte degli arabi sono sunniti.
Il modo di porsi, di atteggiarsi delle persone, soprattutto dei giovani che abbiamo incontrato nelle città, è aperto e vivace. Le ragazze studiano, anche se le scuole, tranne la materna e l’università, sono separate da quelle dei ragazzi. Le donne portano il velo, tutte (è richiesto anche alle turiste e noi ci siamo adeguate) e dagli otto anni di età. Ma nelle città copre solo in parte il capo e lascia intravvedere capelli curatissimi. Solo le donne più anziane, quelle che vivono in campagna, quelle più religiose indossano il chador, generalmente nero e all’inizio la loro visione è un po’ inquietante ai nostri occhi occidentali. Ma poi l’atteggiamento riesce a sdrammatizzare anche un abbigliamento così serioso.

Durante le visite ai monumenti, palazzi, giardini abbiamo incontrato tante scolaresche di ragazze adolescenti che, sotto l’occhio vigile delle insegnanti, chiedevano con un pizzico di allegra impertinenza notizie su di noi, sul nostro paese di origine, sul nostro viaggio, mettendo in pratica l’inglese imparato a scuola. E alla fine volevano fare una foto con noi, attratte moltissimo da occhi chiari e capelli biondi.


L’impronta religiosa è onnipresente: in tutte le piazze principali delle città le gigantografie di Komeini e Kamenei sono incombenti. Ma alcune delle persone con cui abbiamo parlato ci hanno chiaramente e apertamente dichiarato la propria estraneità a ogni appartenenza religiosa. Ci ha colpiti a Yazd la permanenza della comunità Zoroastriana, con i loro Templi del fuoco e le Torri del silenzio, dove espongono i loro morti.

Insomma, gli iraniani sono stati una vera scoperta. Ci avevano raccontato della loro ospitalità, dell’amichevolezza che dimostrano nei confronti del visitatore, della curiosità che esprimono verso l’altro. Di fatto quello che abbiamo sperimentato di persona è qualcosa che non avevamo immaginato. Abbiamo comunicato in inglese che è una lingua abbastanza diffusa, ormai obbligatoria a scuola. Ma anche con chi non lo parlava siamo riusciti a stabilire un contatto. Le guide, gli autisti che ci hanno fatto visitare il paese sono stati amichevoli e gentili, non solo professionali.
A Qom siamo stati invitati dall’autista che ci accompagnava e abbiamo pranzato nella sua casa, con la sua famiglia. Siamo stati fermati in strada non solo da ragazzi, ma anche da adulti che ci hanno chiesto del nostro itinerario, dei posti visitati, dandoci qualche consiglio e chiedendoci cosa pensavamo degli iraniani. A volte ci hanno offerto del cibo. In un paio di casi siamo riusciti addirittura a intavolare un discorso a sfondo politico, collegato alle elezioni presidenziali che si sarebbero tenute di lì a poche settimane.



3 commenti
Angela Nardi
Bellissimo viaggio
Edifici stupendi sembrano fatti di sabbia
Mi piacerebbe visitare i bazar
La curiosità verso noi turisti l ho riscontrata anche in kenia ed il Senegal
Bravi
carla&claudio
Grazie Angela per I commenti positivi. I bazar erano ricchissimi, affollati e spesso coperti in antiche costruzioni di pregio (i visir e gli sciá ci tenevano ad apparire benevoli.. )
Rosalba
Questo è un viaggio che farò, spero il primo postpandemia, e le vostre descrizioni mi confermano la scelta. Ma che belle foto! Che macchina fotografica?