
Per un itinerario sulla costa bretone
Lo sviluppo della costa bretone è lungo e frastagliato. Tratti rocciosi con alte scogliere che si elevano dal mare – territorio prediletto e indisturbato di gabbiani, urie, cormorani – si alternano a calette sabbiose e spiagge più ampie che il gioco delle maree copre, scopre due volte al giorno, mutando il paesaggio.
Un sentiero costiero lungo più di 2000 km, la Grande Randonnée 34 (https://www.gr-infos.com/gr34.htm), percorre la costa dal Mont Saint Michel, sulla Manica, al confine con la Normandia, fino a Saint Nazaire, sull’estuario della Loira. Conosciuto come il sentiero dei doganieri, era nato per il controllo dei traffici e il contrasto del contrabbando. Oggi è un percorso ben segnalato e ben tenuto. Consente di esplorare la costa, raggiungere le punte rocciose dove i fari hanno reso più sicura la navigazione, penetrare nell’entroterra con le sue dune, le fortificazioni militari e i bunker, testimonianza del ruolo che la Bretagna ha avuto durante le guerre. E se può essere interessante decidere di organizzare un trekking di più giorni per conoscere passo dopo passo una piccola parte di costa, noi abbiamo utilizzato i sentieri della GR34 per brevi percorsi che ci hanno permesso di esplorarne alcuni tratti, lasciandoci alle spalle le zone più affollate raggiungibili in auto.
L’ampiezza dello sviluppo costiero permette a ognuno di costruirsi un proprio itinerario, che prende forma giorno dopo giorno a seconda delle condizioni meteorologiche, della forma fisica, delle curiosità che nascono da uno stimolo improvviso e imprevisto, da un incontro. Quello che raccontiamo qui è il nostro itinerario, con i luoghi e i percorsi che ci sono piaciuti di più, consapevoli che abbiamo tralasciato posti che avrebbero sicuramente meritato maggiore attenzione.

Partiamo dalla Côte d’Émeraude, vicino Saint Malo, con il promontorio di Cap Fréhel: una distesa di brughiera alta sul mare, segnato da un faro, da cui si gode un panorama vasto e aperto. La zona è riserva naturale e le scogliere rocciose sono abitate da colonie di uccelli. Vi si trovano anche le pulcinella di mare, leggiamo sulla guida. Ma a luglio nessuna traccia. Sono già partite da parecchio per altri lidi. In un’ora di cammino il sentiero ci porta fino a Fort la Latte. È un castello fortificato risalente al ‘300 e restaurato negli anni Trenta, con un bel mastio possente e un doppio ponte levatoio per l’accesso. E, se il castello in sé non è poi esaltante, il panorama che si gode dalla terrazza in cima al torrione e lungo il sentiero per arrivare, complice la luce bassa e brillante del tardo pomeriggio, è davvero emozionante.

I paesi che si incontrano sulla Côte d’Émeraude sono località balneari. Alcuni hanno mantenuto l’aspetto del vecchio villaggio di pescatori, a cui uno sviluppo turistico precoce ha aggiunto ville tardo ottocentesche o di inizio Novecento. Altri sono cresciuti in tempi più recenti. In questo tratto di costa le spiagge sono ampie e in estate frequentate fino a sera inoltrata, grazie alla luce del sole che si prolunga fino a tardi. Noi scendiamo verso Sables d’Or (una delle numerose località balneari), dove ci fermeremo a cena. Rifocillatici, ci attardiamo poi in una lunga passeggiata sulla spiaggia, resa ancor più ampia dalla bassa marea e illuminata dalla luce dorata del tramonto.

Ancora sulla costa settentrionale, il sentiero dei doganieri ci ha portato alla scoperta della Côte de Granit Rose. Lo abbiamo percorso per circa un’ora da Perros-Guirec fino alla spiaggia di Ploumana’ch. Il sentiero è piuttosto affollato, soprattutto avvicinandosi a Ploumana’ch, nei pressi del faro (Phare Min-Ruz), dove le rocce di granito rosa, modellate nei millenni dal vento e dal mare, assumono morbide forme bizzarre, in un contrasto cromatico netto contro l’azzurro scuro del mare. Di tanto in tanto si aprono piccole insenature verdeggianti dove i pini arrivano quasi a lambire l’acqua.


Di ritorno dall’isola di Ouessant, vicinissimo al porto di Le Conquet, siamo arrivati alla Punta di Saint Mathieu. È un promontorio su cui si trovano, uno accanto all’altra, perfettamente integrati in un connubio che il mare sullo sfondo rende del tutto naturale e armonico, il faro di Saint Mathieu e l’omonima abbazia benedettina, ovvero quel che ne resta.


Narra la leggenda che alcuni mercanti, riportando il corpo dell’apostolo Matteo, furono prodigiosamente salvati dal naufragio proprio al largo della Punta Saint Mathieu. Nel VI secolo fu quindi fondato un primo monastero per accogliere le reliquie del santo. Dell’abbazia benedettina successivamente costruita restano oggi la facciata romanica, le volte in pietra del coro e le arcate della navata. Alcuni reperti provenienti dall’abbazia sono conservati nel piccolo museo ospitato nella cappella di Notre-Dame-de-Grace che si trova lì accanto.
Nelle vicinanze una stele in granito quadrangolare ricorda i naufraghi in mare, a testimonianza di quanto fosse difficile la vita per i marinai e per i pescatori. E per le loro famiglie. La stele è sormontata dalla testa di una donna, con un caratteristico copricapo bretone, che guarda lontano verso il mare, in attesa di un marito, un figlio che … potrebbero non tornare.


Percorrendo un sentiero che corre lungo la scogliera e poi piega leggermente verso l’interno siamo arrivati al Musée Mémoires 39-45 (https://www.bretagna-vacanze.com/proposte/musee-memoires-39-45-plougonvelin-it-1985335/). È un gigantesco bunker che faceva parte del “Vallo atlantico”, costruito dai tedeschi nel corso dell’occupazione della Francia durante la seconda guerra mondiale, a protezione del vicino porto di Brest. Il bunker oggi ospita un museo, che raccoglie documenti, oggetti, fotografie del tempo, illustrati da cartelloni esplicativi dei fatti storici e da aneddoti e ricordi di chi ha vissuto quella storia. Vi è stata ricostruita la vita quotidiana dei soldati tedeschi che hanno vissuto nel bunker. E sono riportate anche diverse testimonianze dei civili che abitavano nella zona, il ruolo delle donne e la vita dei bambini. La struttura militare era stata costruita in una posizione strategica che ben si può apprezzare salendo sulla terrazza. Il museo è una bella testimonianza storica e la visita vale sicuramente la pena.
A pochi chilometri di distanza, sulla Punta del Petit Minou, si trova un altro bel faro costruito su uno scoglio e collegato alla terraferma con un ponte. Anche qui c’è un forte militare in disuso. D’altro canto lungo la costa è un susseguirsi di vecchie strutture militari in cemento ormai abbandonate, oggi predilette dai writers.


Poco più a sud la penisola di Crozon, un alternarsi di scogliere rocciose e spiagge, regala ancora bellissimi panorami e vale la pena esplorarla. Noi siamo partiti da Camaret, località di mare molto gradevole, senza essere eccessivamente affollata. Un piccolo porto con casette colorate, locali e negozi di souvenir lungo le banchine, escursioni in barca, sui tradizionali sinagots dalle vele rosso-ocra, per ammirare la costa dal mare. A Camaret il cimitero delle navi ospita alcuni relitti piuttosto pittoreschi abbandonati sulla spiaggia. Poco oltre, sul molo, la cappella di Notre-Dame de Rocamadour raccoglie al suo interno, appesi lungo la navata, numerosi modellini di barche donati come ex-voto, ancora testimonianza di una religiosità fortemente presente nella cultura popolare.


Da Camaret un sentiero porta fino alla Punta di Pen-Hir. Da un lato scogliere a picco sul mare, intervallate da belle spiagge di sabbia chiara, dall’altro la brughiera fiorita di erica. I cespugli di ginestra ancora fioriti fanno pensare di essere ben più a sud. Incrociamo ancora bunker e piccoli edifici militari e sulla Punta, un monumento alla resistenza francese. Disseminati in mare i faraglioni rocciosi del Tas de Pois.

A sud di Lorient, non lontano da Carnac, arriviamo all’estuario dell’Étel. È il tipico esempio di “aber”, cioè un estuario la cui profonda valle viene invasa dal mare al salire della marea. E gli effetti si fanno sentire a monte, fino a oltre 15 km nell’entroterra. Alla foce del fiume, la Barre d’Étel, un banco di sabbia dalla posizione mobile, rende difficile la navigazione. Ha però creato un ecosistema peculiare, soprattutto a causa della mescolanza di acqua salmastra e acqua dolce durante l’alta marea.

Eravamo stati attratti nella zona da alcune notizie lette sull’isoletta di Saint Cado, minuscola, situata proprio nell’estuario del fiume e collegata alla terraferma da un ponte. Niente auto sull’isola, circondata da un sentiero lungo la costa che permette di esplorarla tutta in poco più di quindici minuti. Case bianche, immerse in giardini fioriti che si specchiano nell’acqua del fiume. Una piccola cappella dedicata a San Cado, principe gallese che nel VI secolo aveva avuto un ruolo importante nella cristianizzazione della Bretagna, martire al ritorno nel suo Galles. Tutt’intorno nella baia formata nell’aber, emergono bassi isolotti, poco più che affioramenti di sabbia durante l’alta marea. Qualcuno ospita addirittura una piccola costruzione.


Scendiamo lungo l’estuario per arrivare al villaggio di Étel, piccolo e accogliente. Non più di una strada principale fiancheggiata da basse case, alcune risalenti all’Ottocento, ben mantenute. In basso sulla riva sabbiosa del fiume la bassa marea ha lasciato scoperte vaste aree dell’aber, dove troviamo parecchi raccoglitori di frutti di mare, armati di secchi e rastrelli. Il panorama è incantevole. Prima di incontrare il mare il corso del fiume disegna un’ampia curva, fiancheggiata da dune sabbiose coperte di piante erbacee, che una fresca brezza tonificante piega gentilmente. Camminiamo lungo la spiaggia fino ad arrivare all’Atlantico. Come in tante altre occasioni in questo vagare nella natura bretone, rimarremmo ad ammirare questo spettacolo naturale per un tempo indefinito.


