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I colori dell’Islanda

Agosto 2023. Finalmente partiamo per l’Islanda. Un viaggio a lungo covato nei nostri desideri e rinviato più volte per motivi diversi. Il programma: 15 giorni on the road per l’isola con un taglio naturalistico e geologico, date le caratteristiche del paese. Purtroppo per un grave incidente il nostro viaggio si interromperà esattamente a metà del suo percorso e questo ci ha posto il dubbio se raccontare o meno la nostra esperienza su questo blog. Lo abbiamo sciolto solo dopo aver metabolizzato quanto era successo, perché in realtà la settimana in cui abbiamo esplorato l’Islanda del nord e gli altipiani centrali è stata un’esperienza entusiasmante. Anche per merito dei nostri compagni di viaggio che non possiamo che ringraziare per questo.

Il nostro itinerario

Il viaggio aereo ci conduce fino a Reykjavik, la capitale, una città dove si concentra più di un terzo della popolazione della paese.

L’idea è quella di dedicare un po’ più di tempo alla sua visita quando ripartiremo per l’Italia, per cui ci limitiamo a una passeggiata nel centro della città lungo la strada principale, la Laugavegur, per arrivare al ristorante che abbiamo scelto per la cena, con qualche piccola deviazione nelle strade vicine.

Cosa ci colpisce?

Reykjavik: la chiesa di Hallgrimur

L’atmosfera tranquilla e rilassata anche se è sabato sera e i locali sono pieni. Le case basse e colorate. La chiesa di Hallgrimur con la sua facciata in blocchi di cemento che ripropongono le forme dei basalti colonnari che incontreremo in natura nelle escursioni del nostro viaggio.

Un murale che occupa un intero edificio sulla Laugavegur, “Ode to the mother”, il cui stile ricercato in bianco e nero ci porta a individuare con facilità in Caratoes l’artista che lo ha dipinto e che avevamo incontrato sui muri di Tormarancia a Roma, con la sua Welcome to Shangai.

Islanda on the road

Partiti da Reykjavik ci dirigiamo verso Thingvellir, per quello che è un must imprescindibile di ogni itinerario in Islanda: il Circuito d’oro. Usciti dalla città abbiamo subito il primo assaggio di paesaggio islandese. Prati verdi punteggiati dal bianco delle pecore che, come da tradizione, in estate sono lasciate libere di pascolare nella campagna e vengono ricondotte agli ovili solo in autunno, con l’arrivo della stagione fredda. Cavallini, piccoli e robusti. Distese di muschi e qui e là, per ampi spazi, una copertura di sassolini di pomice, arrivata dall’ultima eruzione del vulcano Litli-Hrutur, nella penisola di Reykjanes, avvenuta nel mese di luglio.

La piana di Thingvellir

Thingvellir è conosciuto come il luogo dove si riuniva il primo parlamento islandese già nel X secolo. Considerarlo un parlamento secondo la nostra concezione è forse un po’ eccessivo. Diciamo che era il luogo dove i coloni d’Islanda si riunivano annualmente per emanare leggi riguardanti il commercio e la vita sociale, risolvere le dispute tra i clan e giudicare le controversie tra singoli. La sua ampiezza pianeggiante consentiva ai partecipanti che giungevano da tutta l’isola di accamparsi per la durata della sessione. Il valore simbolico di questo luogo non può che essere fondamentale per gli islandesi. Ma la sua importanza non si esaurisce nel suo significato storico. Da un punto di vista naturalistico incontriamo qui la frattura di Almannagja (letteralmente “gola di tutti gli uomini”) che divide le placca tettonica americana da quella euroasiatica. Percorrerla ha un suo fascino intrinseco.

L’area geotermale di Haukadalur

Il nostro itinerario prosegue verso l’area geotermale di Haukadalur, dove incontriamo sorgenti termali, fumarole, pozze di fango sulfureo e il geyser Strokkur. Strokkur ci regala il suo getto all’incirca ogni dieci minuti. Il fenomeno ha un potere magnetico e ci fermiamo ad ammirarlo più volte, attendendo che il ribollire dell’acqua esploda impetuoso nel getto di acqua e vapore. Nonostante la giornata sia grigia e un po’ piovigginosa (nulla di che!) cominciamo ad apprezzare i colori vividi della terra, delle rocce circostanti e  dell’acqua che si raccoglie nelle pozze, per i diversi materiali portati in superfice dall’attività geotermica.

Haukadalur: una piccola pozza di acqua azzurra

La tappa successiva è la cascata di Gullfoss. Ne rimaniamo incantati, per la massa imponente d’acqua che dal fiume con un doppio salto precipita nel canyon, sollevando una “nebbiosa nuvola di gocce d’acqua”. Tutt’intorno il verde brillante dell’erba e dei muschi che rivestono il basalto della roccia. E pensare che nella prima metà del Novecento la cascata ha rischiato di scomparire per la costruzione a monte di una centrale idroelettrica sul fiume. Ma se oggi possiamo ammirare questo spettacolo della natura lo dobbiamo alla tenacia di una donna, Sigrídur Tomasdottir, che con grande energia spesa in una lunga battaglia legale riuscì a difendere la terra dove era nata e vissuta.

La cascata di Gullfoss

Dal canyon di Gullfoss, lungo una pista (Kjalvegur) che da  sud a nord passa a fianco dei ghiacciai Langjokull (a ovest) e Hofsjokull (a est), ci addentriamo verso il centro del paese per raggiungere Arbudir nel Kerlingarfjoll e il rifugio dove passeremo la notte. Kjalvegur, che oggi ha soprattutto un’importanza turistica, è la pista storica che nei secoli ha collegato il nord con il sud del paese. Per noi è il primo assaggio di strada sterrata e il primo guado di un basso fiume da superare con le nostre 4×4. Da Arbudir un breve percorso ci conduce fino a Hvitarnes, avvicinandoci al fronte del ghiacciaio Langjokull, dove troviamo un piccolo cottage in legno, un altro rifugio, che la leggenda popolare vuole sia abitato dal fantasma di una donna che spaventerebbe le persone di sesso maschile.

Hvitarnes, sullo sfondo il fronte del Langjokull

Già in questa prima giornata abbiamo sperimentato alcuni aspetti che si riproporranno analoghi nelle giornate successive. Thingvellir, Strokkur, Gullfoss sono posti spettacolari e costituiscono mete imprescindibili per chi visita l’Islanda. Proprio per questo, in piena estate, in un momento in cui l’isola è gremita di turisti, diventano luoghi affollati, un po’ chiassosi dove non è sempre agevole riuscire a godere dello spettacolo naturale che richiederebbe un po’ più di raccoglimento.

Kerlingarfjoll

Siamo ormai sugli altipiani, nella zona conosciuta come Kerlingarfjoll. Una bella escursione a piedi ci conduce nel mezzo delle montagne di riolite, maestose e colorate, ai margini del ghiacciaio Hofsjokull. Oggi è una bella giornata di sole e luce tersa. Le montagne ci regalano una varietà di colori e sfumature che vanno dal giallo all’ocra, al bruno, illuminati in alto dal bianco di qualche nevaio residuo, toni qua e là resi più delicati dal vapore delle fumarole che si fanno strada dal sottosuolo. Un paesaggio unico e suggestivo che ci spinge a scattare mille foto. E poi via a Hveravellir con la sua attività geotermica che dà vita a fumarole, pozze di fango e sorgenti termali di acqua calda, piccole piscine naturali dove ci godiamo un bagno rilassante.

Kerlingarfjoll
La cattedrale di Akureyri

Ancora un lungo percorso in auto ci conduce fino ad Akureyri, la seconda città dell’Islanda, dopo Reykjavik, con i suoi 18.000 abitanti, sulla costa settentrionale dell’isola. Facciamo un po’ di provviste nel locale supermercato e nel vinbudin, che è l’unico venditore al dettaglio legale di alcol in Islanda, per acquistare qualche birra per le nostre cene. E poi ci concediamo un giro in città con le sue case in legno, la chiesa, in quello che è stato definito lo stile nazionale “basaltico” islandese (come quella di Reykjavik), qualche negozio per turisti e non. Una visita a una bella libreria ci fa fare una scoperta interessante: la traduzione in islandese della Divina Commedia di Dante, con testo a fronte. A conferma di quanto avevamo letto sul ruolo della cultura nella società islandese!

Arriviamo infine a Husavik dove si trova la guesthouse che ci ospita questa sera.

E da Husavik partiamo la mattina successiva per il whalewatching sull’omonimo fiordo. L’uscita in mare è con i RIB, grossi gommoni agili e maneggevoli che consentono di avvicinarsi velocemente ai cetacei una volta avvistati. Veniamo rivestiti con grosse tute impermeabili e imbottite per contrastare il freddo e gli schizzi d’acqua: sembriamo tutti omini Michelin.

Un tuffo e scompare sott’acqua!

L’uscita si rivela particolarmente soddisfacente. Ci dirigiamo prima verso l’isola dei Puffin, disabitata all’imboccatura del fiordo, luogo di nidificazione delle pulcinella di mare. E ne incontriamo moltissime che volteggiano in aria con il loro volo un po’ goffo, si tuffano in mare, riemergono con il becco pieno di acciughe e tornano verso il nido per portare il cibo ai pulcini, in un andirivieni continuo e incessante. Per noi la soddisfazione di aver finalmente incontrato questi simpatici uccelli, dopo averli inseguiti invano in diversi paesi dell’Europa settentrionale. Un po’ più al largo arriviamo nella zona dove si avvistano le balene e anche qui la nostra “caccia” è fortunata. Incontriamo una o più megattere che emergono a respirare e si tuffano in mare con il tipico movimento che fa uscire prima il dorso e poi la coda. Riusciamo a fare qualche bella foto.

Il vulcano Hverfell

Rientrati, puntiamo di nuovo verso il centro e la zona degli altipiani. Facciamo una prima tappa al lago Myvatn, cioè il lago degli insetti, come abbiamo potuto sperimentare di persona. Una breve escursione ci porta sul bordo del cratere del vulcano Hverfell. Il cratere ha una caratteristica sagoma ad anello, con un diametro di oltre un chilometro ed è costituito da pietrisco di un grigio omogeneo. Dall’alto si gode la vista del lago e delle zone umide circostanti: azzurro e verde in mezzo a scure distese di lava, ai soffioni, con i vapori delle fumarole visibili in lontananza, alle solfatare di un giallo carico.

Tappa successiva la cascata di Dettifoss. È una cascata imponente, con una portata impressionante che produce un grande fragore. Le sue acque, che sono quelle del fiume Jokulsa à Fiollum, provengono direttamente dal Vatnajokull, il grande ghiacciaio a sud dell’Islanda. La cascata si può ammirare da diversi balconi che si affacciano sul canyon scavato dal fiume. Cadendo l’acqua si frammenta in nuvole di goccioline minuscole che illuminate dalla luce del sole restituiscono i colori dell’arcobaleno che si forma nell’aria.

La cascata Dettifoss

Da Dettifoss una pista lungo il fiume Jokulsa à Fiollum ci porta a sud fino al rifugio Dreki, nella zona del vulcano Askja. Siamo di nuovo sugli altipiani. È una parte desertica e disabitata, fuori dalle rotte del turismo di massa. La pista attraversa campi di lava e distese di sassolini di pomice. Inevitabilmente, in qualche punto, dobbiamo guadare un corso d’acqua, ma dopo le prime incertezze quelli di noi che sono alla guida delle 4×4 cominciano a entusiasmarsi di queste prove. Avvicinandoci alla nostra meta odierna incontriamo il “monte dalle spalle larghe”, Herdubreid in islandese, che significa proprio “spalle larghe”. È un tuya, cioè un vulcano con la caratteristica cima pianeggiante e i versanti dalla pendenza elevata, che si erge solitario sul deserto di lava e con la sua forma caratteristica ci accompagnerà, sempre visibile, nei giorni che trascorreremo ad Askja.

Herdubreid, il “monte dalle spalle larghe”

La permanenza al rifugio Dreki ci ha portato a una convivenza a stretto gomito, anche con estranei nelle grandi camerate dove abbiamo dormito. Al mattino era tutto un confrontarsi e … sfottersi vicendevolmente su chi aveva russato di più nella notte! Ma gli spazi in comune ci hanno fatto incontrare altri viaggiatori che stavano facendo esperienze di viaggio diverse, girando l’Islanda in moto (fatte arrivare via nave dalla Danimarca) o in bicicletta, dormendo all’addiaccio in piccole tende sferzate dal vento freddo.

In cammino verso la caldera di Askja

Il giorno successivo lo abbiamo dedicato a esplorare la caldera di Askja. Saliamo a piedi lungo un sentiero di sassolini di lava neri, che qua e là assumono una colorazione rossa per la presenza di minerali di ferro, con un contrasto cromatico netto, cui si aggiunge il bianco di qualche nevaio non ancora sciolto. Un cielo nuvoloso e grigio incombe sul paesaggio.

Il paesaggio di Askja e sullo sfondo l’Oskjuvatn

Arriviamo a scorgere in lontananza la nostra meta: il grande lago di Oskjuvatn dalla forma irregolare e acque cristalline che hanno parzialmente riempito la caldera del vulcano. Accanto, infossato in un piccolo cratere laterale tondeggiante, ma a un livello altimetrico superiore, il laghetto di Viti (che significa inferno), con le sue acque calde e lattiginose, di un colore tendente al turchese e le pareti di un ocra/bruno acceso. Il contrasto di colore non solo tra le due distese d’acqua, ma anche tra i paesaggi circostanti è stridente, reso affascinante proprio dalla contiguità dei due laghi, entrambi originatisi in tempi recenti a seguito dell’eruzione del vulcano Askja del 1875.

È una giornata fredda, il vento ci porta qualche piccolo fiocco di nevischio, secco e gelido. Siamo noi e pochi altri escursionisti oggi. Rinunciamo a tornare al rifugio a piedi per un sentiero (di fatto alcuni di noi avevano rinunciato a prescindere dai mutamenti del tempo).  

Il piccolo lago di Viti accanto all’Oskjuvatn

In attesa del pranzo mi concedo il tempo di esplorare lo spazio intorno al rifugio, dietro al quale scorre un ruscelletto di acqua limpida e gelida, la cui presenza insieme al verde brillante dei muschi e al rosa carico di fiorellini che crescono sulla riva, conferisce una nota di colore al paesaggio desertico e brullo.

Il deserto degli altipiani: l’acqua porta la vita

Nel pomeriggio un’escursione in 4×4 ci conduce verso sud nel deserto di sabbia nera, fino a raggiungere il fronte dell’eruzione del Bardarbunga del 2014-2015, fermata solo dal corso del Jokulsa à Fiollum, il fiume che più a nord forma la cascata di Dettifoss. Il deserto è una distesa di sabbia scura livellata dal vento, con la superfice movimentata da piccole dune e formazioni di lava dalle bizzarre forme contorte.

Il deserto di sabbia nera

Sullo sfondo il fronte del Vatnajokull, il grande ghiacciaio. Tornando indietro, un po’ più a valle lungo il corso del fiume, il deserto di sabbia nera è interrotto da una piccola oasi con pozze d’acqua contornate da una vegetazione di un verde brillante e intenso. La natura comincia a ripopolare con piante pioniere gli spazi ricoperti dalle ceneri dell’eruzione.

Nuova vita irrompe dal deserto

Sono passate le dieci di sera. La giornata finisce in bellezza con un rosso tramonto dietro il cratere di Askja.

Non potevamo partire dal rifugio Dreki senza aver esplorato il Drekagil, il canyon del drago, dal nome ispirato alle peculiari formazioni rocciose che lo sovrastano, in cui si possono riconoscere animali fantastici e improbabili. Seguendo il ruscello che scorre accanto al rifugio, di prima mattina percorriamo il sentiero che si inerpica nel canyon fino ad arrivare a una cascata nascosta e romantica, non senza aver imparato a riconoscere, lungo il cammino, le forme tondeggianti “pillow lava” tipiche delle eruzioni basaltiche.

Drekagil, il canyon del drago

La giornata prosegue continuando l’esplorazione sugli altopiani. Punti spaziali di riferimento restano il “monte dalle spalle larghe” e lo Snaefell, più in lontananza con il suo cappuccio innevato. Attraversiamo paesaggi che cambiano continuamente: ceneri, pomici, basalti di antiche eruzioni levigati dall’azione del vento e del ghiaccio. Facciamo arrampicare le nostre 4×4 in cima a un’altura da cui si gode un panorama a 360 gradi. Siamo sempre nel deserto degli altipiani e la vista spazia dal fronte del Vatnajokull, allo Snaefell, ad alcuni laghi che raccolgono le acque provenienti dal ghiacciaio e più in lontananza Askja e il “monte dalle spalle larghe”.

La pista nel deserto degli altipiani e lo Snaefell sullo sfondo

Il nostro itinerario ci porta alla diga di Kárahnjúkar costruita per la produzione di energia idroelettrica destinata ad alimentare l’industria dell’alluminio. Fa parte di un sistema industriale fortemente osteggiato dagli ambientalisti islandesi, per le ripercussioni sull’intero ecosistema locale. Ma se la costruzione della diga, deviando nel bacino idrico la sorgente del fiume Jökla ne ha ridotto drasticamente la potenza, con l’abbassamento del livello dell’acqua, il fiume ha anche rivelato quanto le sue acque nascondevano, compreso il canyon Studlagil che visiteremo il giorno successivo.

Questa sera ci ospita la Studlagil guesthouse, che apprezziamo molto per la privacy ritrovata dopo le due giornate nel dormitorio del rifugio Dreki. Il ricordo di una piccola curiosità mi torna alla memoria: lo stufato di cavallo che ci hanno preparato nel ristorante della guesthouse. Vera prelibatezza locale che ha lasciato alcuni di noi un po’ perplessi. A me in fondo non è dispiaciuto, ma da vera cittadina non ho voluto sapere il nome del cavallo che ci aveva fornito la carne dello stufato!

Il canyon di Studlagil

La mattina dopo la nostra meta è proprio il canyon Studlagil che risaliamo lungo il sentiero che lo costeggia. Il paesaggio è davvero spettacolare. La sua caratteristica principale, il basalto colonnare delle pareti: in alcuni punti del percorso le colonne sono perfettamente verticali, in altri invece le spinte cui sono state sottoposte in fase di raffreddamento della colata lavica le hanno modellate fino a conferire loro un andamento orizzontale, che ne rende chiaramente riconoscibile la tipica sezione esagonale.

I caratteristici basalti colonnari dello Studlagil

È estate inoltrata e l’acqua dello Jökla, che scorre impetuoso sul fondo del canyon, proveniente direttamente dal Vatnajokull, è quella caratteristica dei fiumi glaciali: trasporta grandi quantità di sedimenti che la rendono alla vista quasi materica. Alcune fotografie riprese nei mesi primaverili ci mostrano invece un fiume dalla portata ridotta, che scorre molto più tranquillo e l’acqua ha un bel colore blu-verde. Anche la Studafoss, la cascata che incontriamo all’inizio del sentiero, ci colpisce per la sua particolare bellezza: al centro di un anfiteatro di colonne di basalto, l’acqua che cade ha modellato nel tempo gradini di roccia che moltiplicano i salti e l’umidità dell’ambiente ha creato l’habitat ideale per la crescita dei muschi. Restiamo incantati.

Cascata di Studafoss

Ormai siamo fuori dal deserto degli altipiani che abbiamo attraversato nei giorni precedenti. La strada è fiancheggiata da prati verdi e incontriamo qualche fattoria, oltre i soliti gruppetti di pecore al pascolo.

La nostra prossima meta è Borgarfiordur, un piccolo villaggio di pescatori nella regione dei fiordi orientali. Nel periodo tra metà aprile e metà agosto di ogni anno, a poca distanza da Borgarfjordur, un minuscolo isolotto ospita una grande colonia di pulcinella di mare e altre specie di uccelli marini, come i gabbiani tridattili. Noi abbiamo fatto appena in tempo a incontrare le pulcinella prima che, cresciuti i pulcini, lasciassero i nidi e la terraferma, per svernare in mare aperto. Al riparo di un osservatorio con vista sui nidi, scavati nella terra in cima alle scogliere, ci siamo persi dietro i loro voli, quell’andirivieni continuo nido-mare-pesca-nido che già ci aveva catturati a Husavik.

I colori delle montagne di Borgarfjordur

La zona intorno a Borgarfiordur è paesaggisticamente molto bella. Noi ci siamo arrivati in un tardo pomeriggio luminoso, che ben evidenziava i colori delle montagne che fanno da sfondo al fiordo. Più tardi in serata abbiamo potuto apprezzare i mutamenti dell’atmosfera mano a mano che la luce calava.

Sulla riva del Borgarfjordur

E a Borgarfiordur, in un grande prato acquitrinoso fiorito di campanelle blu, il nostro viaggio è terminato.

I libri che ci hanno accompagnato in questo viaggio

Il volume sull’Islanda della serie di The Passenger – Per esploratori del mondo (Iperborea). È una raccolta di contributi pubblicata nel 2018, di scrittori, giornalisti, studiosi per la maggior parte islandesi. I temi sono diversi; molti trattano aspetti controversi del paese, del suo sviluppo, dei rischi ambientali, della cultura. È un libro da leggere prima di partire, per farsi un’idea del paese che si andrà a visitare, fuori dai luoghi comuni idilliaci o romantici. E da rileggere una volta tornati per interpretare quanto si è visto.

Scelte più letterarie:

Gente indipendente di Halldor Laxness, premio Nobel per la letteratura nel 1955 e Il pastore d’Islanda, novella di Gunnar Gunnarson. Raccontano ambedue, seppur con taglio diverso, la difficile vita nelle campagne islandesi nei primi decenni del Novecento.

Crepitio di stelle di Jon Kalman Stefansson, autore contemporaneo. Un romanzo di formazione, lirico, la storia di una famiglia dall’inizio del XX secolo fino ai giorni nostri.

Dedicato a …

… i nostri incomparabili compagni di viaggio (in ordine sparso): Elena, Claudio, Rossana, Vivi, Lisa, Guido, Federica, Martina, Antonella, Paolo, Martina, Simone, Bea, Michele, Sara, Simona, Antonella.

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