
CILENTO non troppo nascosto
Al Cilento sono associate immagini di spiagge, calette, sabbia, rocce, scogli, grotte, acqua cristallina, i tipici elementi che lo rendono posto prediletto per una tipica vacanza estiva di mare. E se non ci si volesse limitare al solo mare? In fondo conoscere un territorio implica andare un po’ oltre la vetrina allestita per i turisti. In questo articolo vogliamo raccontarvi una serie di piccole/grandi mete con cui abbiamo inframezzato bagni, sole, nuotate, approfittando degli ultimi stralci di un fine settembre ancora estivo, mite e dolce.
Eravamo partiti con un programma molto nutrito, che abbiamo mano a mano ridefinito perché le distanze, per quanto non eccessive, spesso percorrono strade secondarie e accidentate, tenuto conto della natura montuosa del territorio. E poi il COVID, ancora lui, ha portato alla chiusura temporanea di alcuni luoghi. Ma quello che ne è rimasto, ci è piaciuto molto. Ecco le nostre mete.
Il Borgo antico di Agropoli, che costituisce una parte significativa del suo centro storico, si trova in cima a un promontorio proteso nel mare che divide la baia di Trentova dal porto turistico. Vi si accede per la via degli storici “scaloni” che, con gradinate larghe e basse per essere percorse anche a cavallo, conduce alla porta di accesso al Borgo, dominato dal Castello angioino-aragonese con i suoi possenti torrioni circolari.

Il Borgo antico di Agropoli, che costituisce una parte significativa del suo centro storico, si trova in cima a un promontorio proteso nel mare che divide la baia di Trentova dal porto turistico. Vi si accede per la via degli storici “scaloni” che, con gradinate larghe e basse per essere percorse anche a cavallo, conduce alla porta di accesso al Borgo, dominato dal Castello angioino-aragonese con i suoi possenti torrioni circolari. Vi arriviamo nel primo pomeriggio di una giornata assolata e limpida, con un vento che ha spazzato via nuvole e foschia e ha reso il cielo di un azzurro intenso, tipico del meridione (un cielo greco, lo definiamo noi!). Il mare dall’alto è blu. Le stradine strette, acciottolate, che percorrono il paese sono fiancheggiate da case intonacate dai colori tenui, grandi ficus dalle foglie scure e lucide. Poche persone in strada, ma dalle finestre aperte si sentono le tipiche canzoni popolari napoletane che conferiscono una vivacità sommessa al luogo.
A pochi chilometri di distanza, Castellabate, il cui centro storico ha una struttura del tutto simile a quella del Borgo antico di Agropoli, con il Castello nella parte alta e il paese che gli si stringe intorno. Anche qui stradine lastricate, terrazze panoramiche sul mare e sulla costa, piccole case colorate e fiori che decorano finestre e balconi. Ma anche tanti piccoli negozi di souvenir turistici che falsano un po’ l’autenticità del luogo. In basso, sul mare, la frazione di Santa Maria di Castellabate è un borgo di pescatori con un bellissimo lungomare, da godere soprattutto con la luce calda del tramonto e, nella zona del porticciolo, al rientro delle barche dei pescatori.

Dirigendoci verso l’interno, tra i monti Alburni, arriviamo a Rescigno vecchia, annoverato nella categoria dei borghi “fantasma”, dato che problemi di stabilità del terreno hanno reso necessario il suo sgombero all’inizio del Novecento e la fondazione di una nuova Rescigno a circa due chilometri dalla vecchia.
Ma il borgo antico non è stato mai del tutto abbandonato: alcuni dei suoi abitanti hanno resistito con tenacia alle ordinanze di sgombero e parte degli edifici hanno continuato e continuano a essere utilizzati come deposito degli attrezzi agricoli o come stalla. Oggi alcune abitazioni sono state messe in sicurezza e ospitano un Museo della civiltà contadina (temporaneamente chiuso per il COVID). Il centro emozionale del borgo è la sua piazza: ampia, attorno alla quale ruotava la vita e la società del paese, con la chiesa, un paio di palazzi con qualche pretesa architettonica, verosimilmente dei notabili locali, le case in pietra con i balconi in ferro battuto, piccole botteghe. Al centro grandi platani ombreggiano la piazza e riparano dal caldo sole meridionale; da una fontana in pietra sgorga fresca l’acqua.

Arriviamo in una giornata feriale e non incontriamo altri visitatori. Il borgo è immerso nel silenzio. Unici rumori: l’acqua gorgogliante della fontana, lo stormire delle foglie dei platani mosse dal vento, il cinguettio di qualche uccello. Non per niente il toponimo Rescigno pare trovi la sua origine nel termine “usignolo”. Seduto all’ombra incontriamo Libero (guai a chiamarlo Signor Libero, di Signore ce n’è uno solo, mi redarguisce indicando il cielo) che ha scelto di vivere in questo borgo ed è sempre disposto a scambiare quattro chiacchiere con chi si ferma a parlare con lui. È un personaggio. Vestito con cura, nel suo genere, pipa o sigaro in bocca, cappello di paglia, capelli e barba bianchi, fluenti, occhi azzurri vivaci e penetranti, che ti osservano cercando di capire chi sei. Dispensa pillole di saggezza.
Dalla piazza si dipartono piccole strade, le case che si incontrano sono sempre più deteriorate e cadenti. Si intravvede il cielo dalle finestre aperte e spesso il passaggio è interrotto per il pericolo di crolli. All’entrata del paese incontriamo la cappella della Madonna del fico, che prende il nome da una statua rinascimentale custodita all’interno: la cappella è chiusa, ma riusciamo a scorgere la statua da una fessura nel legno della porta. Accanto si trova il piccolo cimitero del borgo vecchio. Le lapidi ancora rimaste in piedi sono in gran parte illeggibili.

Tornando verso il mare, più a sud, sopra Marina di Camerota la presenza di una cappella basiliana ci ha portato nella frazione di Lentiscosa. Anche qui abbiamo un piccolo paese, strade strette lastricate, alcuni palazzi sette-ottocenteschi spesso fatiscenti, testimoni di un passato importante, molte case disabitate e alcune ridotte a poco più che ruderi, poche persone in giro. Si intravvede lo sforzo di rendere attrattivo il paese al visitatore. Ma non del tutto riuscito visto che fatichiamo a trovare la nostra meta, la cappella di Santa Maria ad Martyres.


La cappella vale sicuramente la pena di essere arrivati fino a qui. È un piccolo edificio, la porta aperta senza nessuna vigilanza, all’interno l’ambiente è diviso in due parti da un’arcata e quella in fondo presenta un ciclo di affreschi che decorano le pareti laterali, l’abside e la volta: una serie di figure, santi, martiri, evangelisti, di fattura bizantineggiante, con la particolarità della Madonna che accoglie sotto il suo manto i “martiri”, figure appena tratteggiate, quasi dei fantasmi in saio e cappuccio: Santa Maria ad Martyres, appunto.
Infine il Parco archeologico di Paestum è l’ultima meta culturale della nostra scoperta del Cilento.

È un’area molto vasta, al cui interno sono custoditi tre templi greci in stile dorico, risalenti a un periodo compreso tra il VI e il V secolo a.c., magnificamente conservati, che nell’immaginario collettivo costituiscono l’archetipo del tempio classico, al pari del Partenone di Atene. Il Parco ospita, poi, una serie importante di resti di epoca romana successiva, un anfiteatro, templi, terme, abitazioni, una tipica strada lastricata, edifici che dimostrano la ricchezza dell’area in quell’epoca. Ed è delimitato tutto intorno dai resti ben conservati delle antiche mura in travertino, che di sera sono illuminate. Di recente acquisizione, collocato tra il tempio di Hera e quello di Nettuno, troviamo il “Cavallo di sabbia” dello scultore Mimmo Paladino, che si inserisce armonicamente nello spazio che gli è stato dedicato.

Abbiamo visitato il sito al mattino, abbastanza presto, per evitare la canicola delle ore più calde, beneficiando della brezza marina e dell’ombra dei numerosi alberi disseminati nel parco.

A questa visita culturale ne abbiamo associata una più “emozionale”, approfittando dell’apertura serale che in estate consente di ammirare i templi e passeggiare nella parte meridionale del Parco anche in notturna. Lo spettacolo dei templi illuminati che si stagliano nel cielo scurissimo, senza il disturbo dell’inquinamento luminoso, è veramente magnifico ed emozionante.
Una video installazione sul tempio di Nettuno, poi, (Glaukos di Alessandra Franco) ha reso l’esperienza ancora più suggestiva. Si tratta di una proiezione, “sagomata” sulle pietre del tempio, di linee che ne sottolineano la struttura e le componenti architettoniche, disegni che ripropongono immagini e stilemi antichi, colori e luci di contorno che, insieme alla musica, danno vita a uno spettacolo ipnotico.

Subito fuori della zona archeologica il Museo raccoglie una collezione importante di statuette, ceramiche, bronzi ritrovati nel corso degli scavi dell’area. E anche a una serie interessante di pitture di epoca greca ritrovate nella necropoli, tra cui spicca la Tomba del tuffatore.
Notizie pratiche
Per il Parco archeologico di Paestum (www. museopaestum.beniculturali.it) il sito internet è fatto piuttosto bene e fornisce una serie di informazioni utili alla visita. Per l’accesso si paga un biglietto di 12€, acquistabile anche online. Consente di visitare anche la vicina Area archeologica di Velia e ha una validità di tre giorni. Per l’ingresso serale il biglietto costa 5€. Per la visita è stata creata un’apposita app da scaricare sul cellulare. Illustra i singoli monumenti con una breve descrizione e approfondimenti specifici. L’abbiamo trovata molto utile. Un’ultima osservazione è sulla viabilità dell’area cilentana, molto tortuosa: calcolate in media 90 minuti per percorrere 50 km.

